l’uomo è alto, dal fisico atletico, e spicca nella piccola folla in attesa alla fermata dell’autobus come un inuit ai caraibi. porta un berretto di lana alla qualcuno voleva volare sul nido del cuculo, lo sguardo è celato da lenti scure e fascianti, sostenute da grandi baffi alla paul cayard. l’ampio torace è inguainato in una giacca da motociclista, le gambe sono strette da jeans sdruciti. con un anfibio sbriciola un mozzicone, scagliato a terra con gesto virile.
all’arrivo dell’autobus lo perdo di vista nella ressa ma la sua presenza si impone dopo pochi minuti, quando 20 persone sedute e 93 in piedi si voltano verso il fondo del corridoio, richiamate da una voce che risuona alterata. si apre un varco, tra espressioni costernate, imbarazzate o divertite, e lo vedo: l’uomo è imbullonato a gambe divaricate e preme all’orecchio un cellulare con maschia fermezza.
non posso trasmettere, non ho credito, tuona.
mi han tolto i fondi, non posso, sbraita.
declama con voce stentorea:
in quell’angolo di cielo
riservato a tutti noi,
dove vivono in eterno
santi, martiri ed eroi
c’è troppa negatività in questa città, conclude al telefono, la gente non capisce.
scatta un braccio teso, come al dr. strangelove, e dal rumore secco sospetto una frattura alle falangi contro gli appositi sostegni. poi tace, a gambelarghe e bracciaconserte.
sceso dall’autobus, canticchio quelle parole a ritmo di marcetta per non dimenticarle. la ricerca è breve: con la morte a paro a paro, composta dal maggiore [bechi luserna, ndr] su musica del maestro pettinato nel 1941, titolo ripreso da un verso de la canzone del quarnaro di gabriele d’annunzio, divenuto presto un evergreen per i cordiali ed affabili parà. l’intenso e commovente testo, mirabile sintesi di spirito fascista patriottico e italico sentimentalismo, è noto in tutto il mondo grazie a puntuali traduzioni come with the dead women to pair to pair.